C’era una volta il paradiso? C’è ancora. Si chiama Roero, ed è a portata di bicchiere: colline verdissime a due passi da Alba, con i vigneti avvolti da boschi, prati e frutteti.
La vetta del paradiso, Monteu Roero, sta appollaiata sulle Rocche, bianche “scogliere” di tufo che testimoniano la loro origine marina, tra conchiglie fossili e spiagge sabbiose: come la fresca grotta dove riposa, in anfora, il Nebbiolo del giovane Adriano Moretti.
E’ l’ultimo discendente della tribù contadina dei Bajaj, gli “sbadiglioni” dal cuore grande, con alle spalle una storia di riscatto sociale, quella di chi ha vinto la “guerra dei poveri” scommettendo sulla terra (nocciole, frutta) e imboccando un futuro anche vinicolo, sotto il patrocinio dell’Unesco che ha proiettato il Roero, accanto alla vicina Langa, tra i nuovi santuari del turismo enologico internazionale.
In uno scenario mozzafiato, la nuovissima winery di Bajaj è diventata un porto di mare: «Aperti tutto l’anno, siamo un biglietto da visita per l’intero territorio», racconta Adriano, 29 anni, appassionato di Oriente e felice delle prime visite di turisti giapponesi, sull’eremo di Monteu.
La tradizione, innanzitutto: vasche di cemento, prima di passare all’acciaio, e poco legno (di terzo passaggio, solo per il Nebbiolo) per preservare la fragranza delle uve.
Dal bianco storico roerino, la Favorita, presentato accanto all’Arneis, si arriva fino al Brachetto dolce, che qui si chiama Birbèt.
Ma poi ci sono gli esperimenti, come il Nebbiolo affinato anche in terracotta, fino a diventare Roero Docg, passando per uno spumante ancestrale pigiato con i piedi.
Adriano Moretti, devoto alla filosofia zen, pensa alla viticoltura biodinamica e cita Confucio: «Se ami quello che fai, il tuo non è nemmeno lavoro: è divertimento».
Lo testimoniano i suoi vini «fatti con amore», ricchissimi di profumi. Perfetti, per dare il benvenuto nel paradiso terrestre che si estende tra balze e pianori sulla riva sinistra del Tanaro, in una terra ricchissima di sorprese, in piena riscoperta.