Per favore, voi che nelle varie associazioni votate alla didattica del vino organizzate dei corsi per insegnare la degustazione, inserite nel vostro programma anche una serata in pizzeria, una gita con panini e porchetta, una spaghettata di mezzanotte, roba del genere, e in quelle occasioni fatelo bere il vino, senza schede e senza formalismi, senza calici rotanti e senza valutazioni organolettiche. Fate tornare i vostri allievi per una volta al puro piacere di bere in compagnia, al divertimento del bere. Perché altrimenti la vedo male.
La vedo male nel senso che mi accorgo che parecchi prendono il vino in maniera un po’ troppo seriosa, focalizzandosi – vorrei dire formalizzandosi – sempre e comunque sugli aspetti tecnici. Intendo argomenti come le temperature di servizio, le stappature ammodo, le conservazione delle bottiglie, le strutture tanniche e i profili aromatici, cose così. Tutte cose giuste, che è bene conoscere ed anche praticare se si sceglie la professione della sommellieria, e dunque fate benissimo ad insegnarle. Ma non si può correre il rischio di perdere di vista la gioia del vino, la sua convivialità, il suo perenne invito alla condivisione, il suo essere compagno del cibo e della chiacchiera fraterna. Se si smarrisce questa dimensione, allora il vino rischia di restare recluso dentro agli steccati degli specialisti, degli adepti di una sorta di mistica ritualità.
Sempre meno gente beve vino, e anche i bevitori ne bevono sempre di meno. Non è che la ragione del declino sia da cercare anche nel fatto che noi che scriviamo e voi che insegnate abbiamo dato al vino un’aura quasi sacrale, che allontana le persone, più che attrarle?
Tratto da “Internet Gourmet” – articolo di Angelo Peretti